27 Nov KHAO SAI ON 2006-2008
Indagini archeologiche a Khao Sai On 2006-2008
Nel corso delle ricognizioni geoarcheologiche nella Piana di Lopburi furono individuati diversi piccoli siti distribuiti nei pressi di Khao Sai On (KSO) (H. 74 m slm; lat. 14°50’10”, long. 100°37′), un inselberg calcareo con piccoli affioramenti di rame, di nessun interesse industriale, coltivati in antico, come suggerisce un’ampia cava a cielo aperto sul versante orientale della collina [Fig. 1]. Tra i siti distribuiti entro un raggio di ca. 2 km da KSO, due ci sembrarono di particolare interesse. Il primo localmente chiamato Khok Din (‘Montagnola di terra’), di appena 500 m2 a ca 90 m dalla collina, presentava evidenze metallurgiche pre-protostoriche (quali sgrossatura della roccia madre, riduzione del rame e fusione di piccoli attrezzi entro stampi di terracotta), molto simili a quelle messe in luce dal progetto thai-americano “Thailand Archaeometallurgy Project” nel grande sito industriale e abitativo di Nil Kham Haeng, situato nella valle del massiccio del Khao Wong Prachan a ca 16 km a nord di KSO. Il secondo sito, conosciuto come Noen Din (‘Spianatella di terra’), non presentava alcuna evidenza archeologica in superficie, ma la segnalazione dei locali del rinvenimento di un piccolo contenitore e attrezzi di rame/bronzo, frammenti ceramici e resti scheletrici, fu sufficiente a farci sospettare la presenza di una necropoli.
Nel 2006 iniziammo le ricerche a KSO con due saggi stratigrafici nelle località di Khok Din e Noen Din, cui sono seguiti interventi di scavo di maggiore ampiezza nel 2007 e nel 2008 [Fig. 2].
KSO – Khok Din
Nel monticolo di resti metallurgici, le indagini stratigrafiche hanno messo in luce un deposito formato da “piani” di attività per la lavorazione della roccia madre e la riduzione del rame [Fig. 3], e “lenti” sovrapposte di graniglia di rocce metallifere (soprattutto quarzo e diorite con residui di ossidi e solfati di rame) [Fig. 4] e frammenti di scoria misti a manufatti usati per la frantumazione della roccia madre (martelli e incudini di pietra) e per la riduzione del metallo (crogiuoli e “collari” di fornace di terracotta) associati a frammenti di vasellame domestico.
Tale deposito, dovuto a ripetuti cicli di lavorazione, si sviluppò direttamente sul banco di calcare naturale a contatto con un affioramento di suolo lateritico. Solo dal livello basale provengono le migliori evidenze di installazioni metallurgiche, consistenti in almeno due strutture di argilla, sfortunatamente del tutto disfatte, associate a frammenti di legno carbonizzato e larghe macchie di cenere. In base alla tipologia dei frammenti di ceramica domestica e delle ceramiche industriali la formazione del monticolo è stata inquadrata entro l’ultimo quarto del 1 millennio a.C. [Fig. 5].
KSO – Noen Din
A Noen Din (ca. 1,5 km a NE di KSO), tra un’ampia area coltivata e un residuo di foresta tropicale attraversato da un fosso torrentizio stagionale, è stata scavata (2006-2008) un’area di 156,25 m2, mettendo in luce un solo strato archeologico formato da rifiuti abitativi e industriali derivati dalla riduzione/fusione di minerali di rame. Gli episodi di discarica sono caratterizzati da resti di ceramiche domestiche e industriali (frammenti di crogiuolo, fornace, e forme di fusione) e mammalofaune in una matrice limo-argillosa mista a minuti frammenti di scorie di fusione e di rocce metallifere [Fig. 6]. La natura abitativa del deposito, che si estende per ca. 2 ha, risulta anche dalla presenza di alcune fosse di palo, relative a strutture sopraelevate di cui non è stato però possibile ricostruire la pianta [Fig. 7], e da due sepolture di individui in età infantile. Sepolture di questo tipo, anche in altri siti preistorici tailandesi, sono solitamente dislocate all’esterno del cimitero degli adulti, di cui a Noen Din sono state scavate solo quattro sepolture (G1-4). Sfortunatamente la necropoli si estende nella porzione sud del sito, in un terreno dove non ci è stato concesso di lavorare per timore che gli spiriti dei defunti disturbati dai nostri scavi potessero rivalersi sull’anziana proprietaria del lotto (comunque sempre accompagnata da due poco socievoli rotweilers). Delle due isolate sepolture, una (G5) era di un individuo in età pre-puberale inumato su “letto di cocci” (pertinenti a due vasi frantumati in loco prima della deposizione) e accompagnato da una giara deposta presso i piedi [Fig. 8]; la seconda (G6) ha restituito i resti di un neonato con una collana di perle di corniola, una cavigliera di conchiglia con pendenti “a barilotto”, tre vasi e nove forme di fusione di terracotta [Fig. 9]. Sia i vasi, sia le forme di fusione presentano rotture e riparazioni precedenti alla deposizione nella tomba; le forme di fusione, poi, non hanno lo stesso profilo e non sono utilizzabili in coppie. Sebbene sia i vasi, sia le matrici si potrebbero definire “oggetti di scarto”, appare evidente l’eccezionalità del rito di sepoltura di questo infante accompagnato da “attrezzi del mestiere”, quali appunto le forme di fusione, non solo solitamente riservati alle tombe degli adulti, ma specificamente solo a quelle riconosciute come “sepolture di fonditori” (founders’ burials). Questo rituale quindi suggerisce che il corredo era inteso non come specchio di quanto esercitato in vita, trattandosi di un neonato, ma come previsione per una vita oltremondana dove forse il defunto avrebbe seguito un’attività verosimilmente legata a una tradizione o specializzazione familiare.
Diversamente, si tratta di una vera e propria “sepoltura di fonditore” quella dell’adulto (G4) accompagnato, oltre che da un vaso di ceramica, due perle di corniola e una di vetro, da un “collare” (o “collare forato” o “cilindro forato”) di terracotta per fornace di fusione del rame [Fig. 10], di cui un solo altro esemplare intero è stato rinvenuto in una sepoltura scavata dal progetto thai-americano “Thailand Archaeometallurgy Project” nel sito di Nil Kham Haeng, Questi “collari forati” rappresentano un’originale innovazione tecnologica, non documentata in altri contesti metallurgici del Sudest asiatico continentale, introdotta nel processo di riduzione del rame dai fonditori della Piana di Lopburi nell’Età del ferro. Sebbene molte verifiche sperimentali siano ancora necessarie, l’associazione tra frammenti di “collare”, frammenti di crogiuolo e frammenti di terracotta coperti di scoria –probabilmente rivestimento delle “fornaci a tazza”-, ha permesso di ipotizzare la pratica della co-fusione di ossidi e solfati di rame [Fig. 11-15].
Nell’ipotesi preliminare, il crogiolo caricato di minerale di rame e di combustibile (probabilmente carbone) era posto in una fossa rivestita d’argilla e sormontata dal “collare forato”, che aveva la funzione di favorire il controllo della temperatura nella camera refrattaria. [Fig. 16]
Le attività metallurgiche documentate a KD/ND -databili tra ca. il sec. I a.C. e il sec. IV/V d.C. [Fig. 5]- e in molti altri siti -scavati e non scavati- nell’area di Khao Sai On, come nella Valle del Khao Wong Prachan e altre località della Piana di Lopburi sono inquadrabili nell’arco del millennio (sec. V a.C–V d.C.) che vide importanti trasformazioni nel locale assetto sociale, con la formazione di livelli detentori di maggiore ricchezza e simboli di status, tra cui gioielleria di rame/bronzo e utensili/armi di ferro. L’aumento della domanda locale di tali beni e, secondo alcuni studiosi, del rame scambiato anche su lunga distanza (ad es. il Subcontinente indiano), sarebbero all’origine dell’intenso sfruttamento delle locali vene di rame da parte di piccoli gruppi di “contadini-fonditori”.